Emergenza COVID-19: divieto di licenziamento e altre ipotesi

13 apr 2020

 

 

Il decreto-legge 17/3/2020 n. 18, emanato allo scopo di far fronte all'emergenza creatasi in coseguenza della dirompente diffusione del COVID-19, ha agito su plurimi fronti, introducendo misure di potenziamento del SSN e di sostegno economico per le famiglie, i lavoratori e le imprese.

In particolare il predetto decreto è suddiviso in cinque titoli, di cui il secondo (artt. 19-48), appunto, introduce “misure a sostegno del lavoro”.

Al riguardo riveste particolare importanza l'art. 46 (impropriamente rubricato "sospensione delle procedure di imugnazione dei licenziamenti") a norma del quale “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'avvio delle procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, della legge 15 luglio 1966 n. 604”.

Per sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in oggetto (e quindi dal 17/3/2020, data di pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale, fino al 18/5/2020), quindi, è stato introdotto il divieto temporaneo di avvio delle procedure di riduzione collettiva del personale e dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo - per tutti i datori di lavoro a prescindere dal numero dei dipendenti in forza all'impresa.

Ed ancora, nel periodo suindicato sono, altresì, “sospese le procedure pendenti successivamente al 23/2/2020” (data in cui è stata proclamato lo stato di emergenza nazionale): il dato letterale lascia intendere che le “procedure pendenti” cui fa riferimento la disposizione de qua siano le procedure di licenziamento collettivo di cui all'art. 24 della Legge n. 223/1991) e quelle di cui all'art. 4, comma, della Legge n. 223/1991) avviate dopo il 23/2 ma prima del 17/3. Sono, quindi, sospesi i termini per l'esperimento delle procedure di informazione, consultazione e concertazione introdotte dall'ordinamento nei casi di mancato integrale riassorbimento di lavoratori sospesi che godono dell'ammortizzatore sociale straordinario (CIGS), oppure nei casi di datori di lavoro con più di quindici dipendenti che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell'arco di centoventi giorni. A prescindere però dal dato letterale, tenuto conto della ratio della norma, è verosimile che siano sospese anche le procedure di licenziamento individuale comminate tra 23/2 e il 17/3. E, quindi, nell'ipotesi in cui, ad esempio, sia già stata avviata la procedura ex art. 7 Legge n. 604/1966 per il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi all'Ispettorato del Lavoro, la procedura sarà sicuramente da ritenersi sospesa anche se il tentativo di conciliazione si è già concluso nel caso in cui il lavoratore sia ancora in attesa della consegna della lettera di licenziamento.    

Com detto, nel periodo dal 17/3/2020 al 18/5/2020, sono, quindi, preclusi tutti i licenziamenti per motivi economici. Continueranno, invece, ad essere possibili i licenziamenti per giusta causa, i licenziamenti determinati da superamento del periodo di comporto, i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo (ivi inclusi quelli di natura disciplinare) e i licenziamenti per accedere alla pensione con "quota 100".

Tenuto conto dello spirito della norma (che evidentemente mira alla tutela di tutte le categorie di lavoratori), il divieto di licenziamento previsto dall'art. 46 D.L. 17/3/2020 n. 18 è applicabile anche nei confronti dei dirigenti. Sul punto si segnala anche l'opinione divergente di coloro che non ritengono, invece, applicabile la disposizione normativa in oggetto al licenziamento individuale del dirigente facendo leva sul dato letterale e, quindi, sul fatto che l'art. 46 del D.L. 17/3/2020 n. 18 fa riferimento all'art. 3 Legge n. 604/1966 che non sarebbe, invece, applicabile  ai dirigenti per espressa previsione dell'art. 10 Legge n. 604/1966.  

L'art. 46 non si occupa di individuare quali siano le conseguenze derivanti dalla violazione del divieto temporaneo di licenziamento ivi previsto: al riguardo occorre chiedersi se i licenziamenti eventualmente posti in essere nel periodo “protetto” individuato dal decreto in oggetto siano da considerarsi illegittimi, inefficaci o addirittura nulli. Ora, a prescindere da numero di dipendenti occupati dall'impresa, si potrebbe ravvisare un'ipotesi di nullità per violazione di norma imperativa ex art. 1418 c.c.: e quindi, il lavoratore avrebbe diritto alla tutela reintegratoria piena (sia  per il caso in cui si tratti di lavoratore cui si possa applicare l'art. 18 Statuto Lavoratori, sia per il caso in cui si tratti di lavoratore assunto con contratto a tutele crescenti).   

Come già detto, la rubrica dell'art. 46 (i.e. "sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti") è impropria visto che la predetta disposizione non si occupa in alcun modo della sospensione delle procedure di impugnazione, quanto piuttosto dei licenziamenti.  E neppure se ne occuperebbe, secondo le prime indicazioni fornite anche dal  Consiglio Nazionale Forense (si veda scheda di analisi del decreto del CNF del 18/3/2020), l'art. 83 del D.L. 17/3/2020 n. 18 che introduce il meccanismo della sospensione dei (soli) termini procedurali dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili (e penali); senza prevedere alcunchè in relazione alla sospensione dei termini stragiudiziali per l'impugnazione del licenziamento. Peraltro, la Relazione Illustrativa del predetto decreto, con riferimento all'art. 46 riporta che “la norma dispone che a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto è precluso per 60 giorni l'avvio delle procedure di impugnazione dei licenziamenti individuali e collettivi  e che nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti. E' previsto altresì che durante tale periodo il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo”. Si potrebbe, quindi, pensare - anche tenuto conto del dato letterale della rubrica dell'articolo in esame - che si sia trattato di una mera “dimenticanza” e che, in realtà, nelle intenzioni del legislatore, anche le procedure di impugnazione dei licenziamenti dovessero essere precluse (e se già pendenti sospese) nel periodo “protetto”. Per dirimere la questione occorrerà, comuque, attendere le prime applicazioni operative dell'art. 46 e le prime decisioni di merito.    

Nel decreto in oggetto vi sono, poi, altre disposizioni (cfr. art. 23, comma 6, e art. 47, comma 2) che fanno riferimento a fattispecie peculiari in cui il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, con conseguente divieto di licenziamento dello stesso. In particolare l'art. 23, comma 6, prevede, durante il periodo di sospensione dei servizi educativo-scolastici disposto a causa dell'emergenza COVID-19, un congedo straordinario di 15 giorni per i lavoratori con figli di età non superiore a 12 anni (oltre ad un un ulteriore congedo non retribuito per i genitori con figli di età ricompresa tra i 12 e i 16 anni); ciò a condizione che nessun altro componente del nucleo familiare usufruisca di benefici che consentano di rimanere a casa. Si tratta di un'ipotesi di assenza giustificata che consente al lavoratore di conservare il posto di lavoro e che preclude al datore di lavoro di esercitare il diritto di recesso motivato dall'astensione dal lavoro (trattandosi, appunto, di assenza giustificata ex lege).

A causa dell'emergenza COVID-19, oltre alle attività educativo-scolastiche sono state altresì sospese le attività destinate a persone con disabilità, e allora l'art. 47, comma 2 (così come già l'art. 23, comma, 6) introduce una sorta di diritto potestativo all'astensione dal lavoro per i genitori che si trovino a dover accudire una persona con disabilità. In particolare a norma dell'art. 47, fino al 30/4/2020, non potrà costituire giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c. l'assenza da posto di lavoro di uno dei genitori conviventi con un figlio disabile, a condizione che sia preventivamente comunicata e motivata l'impossibilità di accudire la persona con disabilità a seguito della sospensione dell'attività.

© Cristiana Celotti