La nuova normativa in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra operatori della filiera agroalimentare

05 ago 2022

Avv. Iftin Ebe Hassan Aden

Le novità in materia di pratiche commerciali sleali tra imprese del settore agricolo ed alimentare a seguito della Direttiva UE 2019/633 e del Decreto Legislativo n. 198 del 2021.
Il 16 giugno 2022 è stato il D-Day per gli operatori della filiera agroalimentare. Entro tale data, infatti, gli stessi avrebbero dovuto adeguare i contratti in essere e stipulati prima del 15 dicembre 2021 alle previsioni contenute nel D. lgs. 198/2021 e successive modifiche: decreto legislativo che ha recepito la Direttiva UE 2019/633 del 17 aprile 2019 ed ha abrogato la normativa in materia introdotta dall’art. 62 dell’art. 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n 27.

Il contesto normativo e l’ambito di applicazione

La Direttiva UE 2019/633 ha introdotto una serie di previsioni normative volte a contrastare quelle pratiche commerciali definite “unfair” esistenti nei rapporti tra gli operatori della filiera agroalimentari: rapporti, che, come si legge nella Direttiva stessa, risultano caratterizzati da un forte squilibrio a vantaggio dell’operatore dotato di maggiore forza contrattuale (ovvero l’acquirente). L’ambito della direttiva riguarda tutte le forniture di prodotti agroalimentari in cui “il fornitore o l'acquirente, o entrambi, sono stabiliti nell'Unione” (così l’art. 1, comma 2). Dall’ambito della direttiva sono espressamente esclusi gli accordi tra fornitori e consumatori.
Come già avvenuto per la normativa a tutela del consumatore, la Direttiva UE 2019/633 fornisce un elenco di pratiche commerciali considerate sleali e dunque vietate a prescindere, stabilendo altresì indicazioni concernenti l’applicazione di tali divieti, nonché un elenco di pratiche, che, pur potenzialmente “unfair”, possono considerarsi valide se espressamente concordate in termini chiari ed univoci. Gli Stati membri possono, peraltro, mantenere o introdurre norme nazionali più rigorose di quelle previste nella direttiva per contrastare le pratiche commerciali sleali, a condizione che tali norme siano compatibili con quelle relative al funzionamento del mercato interno (art. 9).
In forza dell’art. 13, la Direttiva UE 2019/633 avrebbe dovuto essere recepita dagli Stati membri entro il 1° maggio 2021 e le previsioni volte a recepire la direttiva avrebbero dovuto diventare efficaci entro il 1° novembre 2021.
L’Italia ha recepito la summenzionata Direttiva tramite il Decreto Legislativo n. 198/2021 del 8 novembre 2021: decreto legislativo che è diventato efficace in data 15 dicembre 2021 e che ha, peraltro, subito successive modifiche a seguito della Legge 51/2022, legge di conversione del Decreto-Legge del 21 marzo 2022 n.21, emanato per introdurre misure atte a contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina.
In merito alla legge attuativa della Direttiva occorre innanzitutto rilevare che il legislatore italiano ha deciso di non replicare il sistema di soglie previste nella Direttiva UE 2019/663 (soglie che ne limitavano l’applicazione ad operatori con un determinato fatturato). Conseguentemente, le previsioni introdotte dal D. lgs. 198/2021 si applicano a tutte le forniture aventi ad oggetto prodotti agroalimentari indipendentemente dalle dimensioni dei soggetti coinvolti, purché eseguite da fornitori stabiliti nel territorio nazionale (art. 1, comma 2).
A seguito, inoltre, delle modifiche apportate dalla Legge 51/2022 (art. 19-ter), a differenza di quanto previsto dalla Direttiva UE 2019/633, la nuova normativa in materia di pratiche sleali si applica altresì alle cessioni/forniture aventi ad oggetto  prodotti a base di carne con determinate caratteristiche fisico-chimiche (ovvero un determinato aw e ph) nonché ai prodotti “preconfezionati che riportano una data di scadenza o un termine minimo di conservazione non superiore a sessanta giorni”, “sfusi, anche se  posti in involucro protettivo o refrigerati, non sottoposti a trattamenti atti a prolungare la durabilità degli stessi per un periodo superiore a sessanta giorni”  ed a “tutti i tipi di latte".

I requisiti dei contratti

Il principio che viene imposto per i contratti di fornitura/cessione (mutando quanto già stabilito dall’art. 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, oggetto di espressa abrogazione da parte del D. Lgs. 198/2021) è quello della forma scritta a pena di nullità: forma scritta che, peraltro, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali affermatisi dopo l’entrata in vigore del Decreto-legge 2012 n. 1, può essere soddisfatta anche tramite documenti di trasporto o di consegna, fatture o ordini di acquisto, purché sussista tra il fornitore e l’acquirente un accordo quadro che preveda i contenuti minimi stabiliti dai commi 1 e 2 dell’art. 3. Tali contenuti minimi sono:
  • La durata (che non può essere inferiore a dodici mesi, fatta salva eventuale deroga dovuta alla stagionalità del prodotto e concordata dalle parti o risultante da un contratto stipulato con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali maggiormente rappresentative);
  • Le quantità e le caratteristiche del prodotto;
  • Le modalità di consegna e di pagamento.

Le pratiche commerciali scorrette 

Conformemente alla Direttiva UE 2019/633, l’art. 4 del D.lgs. n. 198/2021 contiene l’elenco delle pratiche commerciali espressamente vietate, ovvero:
  • il mancato rispetto dei termini di pagamento (rispettivamente 30 giorni per i beni deperibili e 60 per quelli non deperibili, successivi alla consegna o al termine stabilito per la consegna, a seconda di quale delle due date sia successiva); con applicazione inderogabile degli interessi legali di mora maggiorati di quattro punti a partire dal giorno successivo alla scadenza del termine;
  • l’annullamento di ordini per prodotti deperibili con un preavviso inferiore a 30 giorni;
  • la modifica unilaterale delle condizioni di acquisto quanto a luogo, tempi e modalità della fornitura, quantitativi, termini di pagamento e prestazioni accessorie;
  • l’addebito al fornitore della responsabilità per il deterioramento dei prodotti quando tale deterioramento non sia stato causato da colpa o negligenza del fornitore stesso;
  • la richiesta al fornitore di pagamenti non connessi alla vendita dei prodotti;
  • l’acquisizione, l’utilizzo o la divulgazione illecita, da parte dell’acquirente o di soggetti ad esso legati, di segreti commerciali del fornitore;
  • le minacce di ritorsioni commerciali in caso di contestazioni da parte del fornitore;
  • le richieste di risarcimento da parte dell’acquirente per i costi sostenuti per l’esame dei reclami dei clienti.
Mutuando il sistema della Direttiva UE 2019/633, il comma quattro del su richiamato articolo 4 prevede inoltre una serie di pratiche potenzialmente “unfair”, che, tuttavia, possono essere valide se espressamente concordate, in termini chiari ed univoci, nel contratto di cessione o nell’accordo quadro, ovvero:
  • la restituzione, da parte dell'acquirente al fornitore, di prodotti agricoli e alimentari rimasti invenduti, senza corrispondere alcun pagamento per gli stessi o per il loro smaltimento;
  • la richiesta al fornitore, da parte dell'acquirente, di un pagamento come condizione per l'immagazzinamento, l'esposizione, l'inserimento in listino dei suoi prodotti, o per la messa in commercio degli stessi, di farsi carico, in tutto o in parte, del costo degli sconti sui prodotti venduti, di farsi carico dei costi della pubblicità e del marketing;
  • la richiesta al fornitore, da parte dell'acquirente, di farsi carico dei costi del personale incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti del fornitore.
Il legislatore italiano ha, inoltre, previsto, nell’art. 5 del Decreto Legislativo, tutta un’ulteriore serie di pratiche ritenute sleali e dunque vietate, quali:
  • l’acquisto di prodotti agroalimentari attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a doppio ribasso;
  • l’imposizione di condizioni contrattuali particolarmente o ingiustamente gravose;
  • il richiedere l’esecuzione di prestazioni non attinenti all’oggetto del contratto;
  • l’esclusione dell’applicazione di interessi di mora e delle spese di recupero crediti a danno del creditore;
  • l’inserimento di clausola contrattuale che imponga al fornitore l’emissione della fattura dopo un termine minimo rispetto alla consegna del prodotto.
L’art. 7 disciplina la vendita sottocosto dei prodotti, consentendola unicamente nel caso in cui il prodotto invenduto sia a rischio di deperibilità o rientri in operazioni commerciali già programmate e concordate per iscritto. Non possono, comunque, mai essere poste a carico del fornitore le conseguenze del deperimento e/o della perdita dei prodotti se tali situazioni non sono imputabili a negligenza dello stesso.
Le previsioni sopra riportate e contenute negli artt. 3, 4, 5 e 7 del Decreto Legislativo n. 198 del 2021 sono norme imperative ed inderogabili, indipendentemente dalla legge contrattuale applicata al contratto. Ne consegue che le previsioni contrattuali contrarie a tali norme sono nulle, senza che ciò comporti la nullità dell’intero contratto (così il comma 4 dell’art. 1).
Proprio in considerazione del rilevante impatto che le previsioni contenute nel D. lgs n. 198 del 2021 avranno sui rapporti nella filiera agroalimentare, è stato previsto che le stesse siano applicabili ai contratti conclusi dopo il 15 dicembre 2021, mentre, per quelli siglati in data anteriore ed in esecuzione a tale data, vi era l’obbligo di renderli conformi entro il 16 giugno 2022 (ovvero decorso il periodo di grazia di sei mesi dall’entrata in vigore del decreto).

Le sanzioni

In ottemperanza a quanto previsto dalla Direttiva UE 2019/633, il D. lgs. n. 198 del 2021 ha introdotto una serie di sanzioni amministrative da applicarsi nei confronti degli operatori che, nonostante le previsioni del decreto, continuano ad applicare prassi vietate. Tali sanzioni (previste nell’art. 10) devono essere calcolate, prendendo a riferimento il fatturato realizzato nell’ultimo esercizio antecedente all’accertamento e la loro misura dipende dal valore dei beni oggetto di cessione o dal valore indicato nel contratto, dall’entità del danno patito dal contraente debole e/o dal beneficio ottenuto dal soggetto che ha posto ine essere la pratica sleale.
L’autorità deputata ad investigare su possibili infrazioni ed ad applicare le connesse sanzioni amministrative, nel caso in cui tali infrazioni siano accertate al termine dell’indagine, è l’ICQRF (art. 8), ovvero il Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressioni Frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (art. 2, comma 1, lett. J), che ha altresì il compito di pubblicare sul sito del MIPAAF i provvedimenti sanzionatori inflitti nonché una relazione annuale sull’attività svolta illustrando per ogni indagine l’esito e la decisione presa.
 
Al fine di evitare, dunque, eventuali indagini da parte dell’ICQRF, derivanti anche da eventuali denunce fatte dopo il fallimento di procedure di mediazione o di risoluzione delle controversie, è opportuno che i vari acquirenti del settore agroalimentare rivedano i contratti in essere in modo da adeguarli alla nuova normativa di settore.