La Legge 27 dicembre 2023 n. 206 “Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy”. In particolare, le imprese culturali e creative (ICC)

24 gen 2024

Avv. Carlo Piola

 

    I. Uno sguardo d’insieme sul provvedimento.

La Legge 206/2023, c.d. Legge sul made in Italy entrata in vigore in data 11 gennaio 2024[1], afferma, nelle sue dichiarazioni di principio, di voler raggiungere gli obiettivi enunciati nel titolo attraverso la valorizzazione e la tutela della cultura, del patrimonio e delle radici nazionali, non solo ai fini identitari, ma allo scopo di incentivare la crescita economica del Paese.
     
Tali principi generali, dice la Legge, dovranno d’ora innanzi orientare l’operato delle amministrazioni statali, regionali e locali (art. 2) e troveranno coronamento nella giornata nazionale del made in Italy, che si celebrerà, a partire dal corrente anno 2024, il 15 aprile di ogni anno.
 
Al di là dei cennati principi, la Legge in commento interviene su molteplici aspetti concreti della vita giuridica ed economica del Paese, anche se occorre subito dire che la relativa disciplina non pare allo stato compiuta, atteso il rinvio spesso operato dalla stessa Legge ad una successiva decretazione attuativa.
 
Senza pretesa di completezza, si citano, tra i provvedimenti che entreranno compiutamente in vigore solo all’indomani della pubblicazione della decretazione secondaria, l’Istituzione di un Fondo nazionale del made in Italy, con dotazione iniziale di Euro 700 milioni, autorizzato ad investire direttamente nel capitale sociale di società per azioni, anche quotate, che abbiano sede legale in Italia e purché non operanti nel campo bancario, finanziario ed assicurativo (art. 4); e l’istituzione del Liceo del made in Italy (art. 18), che, nell’intento del Legislatore, dovrebbe divenire un percorso di studi atto ad introdurre i giovani all’interno delle tematiche culturali, economiche e giuridiche che diano risalto alle radici nazionali e che siano al contempo rilevanti ai fini di un loro proficuo ingresso nel mondo del lavoro.
 
La Legge contiene disposizioni in materia di salvaguardia dei marchi di rilevanza nazionale, con la previsione della facoltà, in capo allo Stato, di intervenire a tutela dei marchi stessi in caso di crisi dell’attività economica correlata (art. 7). Vi sono misure specifiche atte a valorizzare e salvaguardare produzioni nazionali di rilevanza e prestigio internazionale in svariati campi dell’industria, dell’artigianato e dell’agricoltura. Ed è apprezzabile l’introduzione di un intero capo dedicato alla lotta alla contraffazione dei marchi (artt. 49 – 56), con l’inasprimento delle relative sanzioni ed il rafforzamento degli strumenti di indagine ai fini della prevenzione e repressione del predetto reato.  
 

    II. Le imprese culturali e creative (ICC).

Il cuore del provvedimento legislativo in commento pare tuttavia risiedere, ad avviso di chi scrive, nella disciplina organica delle imprese culturali e creative (“ICC”), contenuta negli articoli da 25 a 30 della Legge stessa. Il predetto articolato, muovendo dalla premessa secondo cui “la cultura e la creatività sono elementi costitutivi dell’identità italiana e accrescono il valore sociale ed economico della Nazione”,  pone i capisaldi di natura soggettiva ed oggettiva che caratterizzano le neonate ICC, pur con la precisazione che sarà un successivo decreto del Ministro della cultura, da adottarsi di concerto con il Ministro delle imprese e del made in Italy, “a definire le modalità e le condizioni del riconoscimento della qualifica di ICC, nonché le ipotesi di revoca”.
 

    II.1      I Presupposti soggettivi.

La Legge precisa che possono essere qualificate come ICC le imprese individuali, le società, di persone e di capitali, le cooperative e comunque tutti i soggetti giuridici disciplinati dal libro V del Codice civile.  Possono altresì rientrare nel novero degli Enti atti a qualificarsi come ICC gli Enti del Terzo Settore (ETS) indicati dall’art. 11 comma 2 del Codice del Terzo Settore, vale a dire quegli Enti tipici del mondo non profit che esercitano tuttavia la loro attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale e sono quindi soggetti al doppio obbligo di iscrizione nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) e nel Registro delle Imprese[2].
 
Possono infine qualificarsi come ICC anche gli Enti di cui al Libro I, Titolo II, capo II del Codice civile, vale a dire le Fondazioni e le Associazioni riconosciute (la legge qui è chiara nel limitare la qualifica di ICC alle sole Associazioni disciplinate al capo II, vale a dire alle Associazioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica a seguito di provvedimento dell’Autorità governativa e non alle associazioni non riconosciute) e che svolgono prevalentemente in forma di impresa, in via esclusiva o prevalente, le attività tipiche che andremo a breve a vedere.
 
Deve trattarsi inoltre di Enti, tra quelli sopra indicati, che svolgono attività stabile e continuativa con sede legale in Italia, nell’Unione Europea o in uno degli Stati aderenti allo Spazio Economico Europeo[3], purché siano soggetti passivi d’imposta in Italia.   
 
Fatte queste precisazioni, vale la pena soffermarsi brevemente su un interessante riflesso che la Legge in commento proietta sul mondo del c.d. non profit.
 
Si è visto che la Legge 206/2023 ammette espressamente nel novero delle ICC non solo le imprese commerciali (esercitate in forma individuale o collettiva) e gli ETS che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale; ma che rientrano a pieno titolo nelle ICC e quindi sono considerate “imprese” a tutti gli effetti, anche le Associazioni riconosciute e financo le Fondazioni, entrambe disciplinate dal I libro del Codice civile, quando esse “svolgono prevalentemente in forma di impresa le attività tipiche previste dalla Legge sul made in Italy. Così, ammettendo le Associazioni riconosciute e le Fondazioni disciplinate dal Libro I del Codice civile tra gli Enti che possono rivestire a pieno titolo il ruolo di imprenditori, il Legislatore affronta indirettamente, ma con indicazione chiara, il delicato tema, da tempo noto alla giurisprudenza, del riconoscimento dello statuto dell’imprenditore commerciale (e quindi anche l’assoggettamento al fallimento o, oggi, alla liquidazione giudiziale) in capo a soggetti giuridici, quali le Fondazioni, tradizionalmente estranei, da un punto di vista sistematico e culturale, al mondo dell’impresa.  Si tratta di un’ulteriore conferma, proveniente questa volta direttamente dalla legge e non dalla giurisprudenza, del fatto che anche le persone giuridiche tradizionalmente più lontane rispetto al mondo del diritto commerciale, quali le Fondazioni previste dal I libro del Codice civile possono rientrare a pieno titolo nella categoria delle imprese ogni qual volta esse svolgano in concreto, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale. [4]   
 

    II.2      I Presupposti oggettivi.

Sono riconosciute come ICC le persone fisiche o gli enti - di cui si è detto nell’esame dei presupposti soggettivi - che svolgono in via esclusiva o prevalente l’attività di ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca valorizzazione e gestione di beni, attività e prodotti culturali o anche una sola di tali attività, oppure ancora attività di supporto, funzionali o ausiliarie alle precedenti. 
 
A tal proposito la Legge (art. 25, comma 5, lettere a e b) definisce la categoria dei “beni culturali” come quei beni elencati all’art. 2 comma 2 del relativo Testo Unico[5], e come “attività e prodotti culturali “, i beni i servizi, le opere dell’ingegno, nonché i processi ad essi collegati, e altre espressioni creative individuali o collettive, anche non destinate al mercato, inerenti al mondo musicale, visivo, radiofonico, artigianale, artistico o editoriale.        
 
Le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sul territorio nazionale hanno l’onere di istituire, in ogni Registro delle Imprese di cui all’art. 2188 del Codice civile, un’apposita sezione speciale ai fini dell’iscrizione delle ICC.  Solo una volta che siano regolarmente iscritte in tale sezione, le imprese dotate dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla Legge potranno introdurre nella propria denominazione sociale la dicitura di “impresa culturale e creativa” o di “ICC” ed utilizzarla nelle comunicazioni sociali.    
 
Al fine di valorizzare il made in Italy è altresì prevista l’istituzione, presso il Ministero della cultura, dell’Albo delle imprese creative e culturali di interesse nazionale (art. 26), anche ai fini di salvaguardia degli archivi storici delle imprese italiane titolari di marchi d’interesse nazionale, iscritti nel Registro istituito dall’art. 185 bis del Codice della Proprietà Industriale, come definiti dall’art. 11 ter del medesimo Codice [6]
 
È infine prevista la facoltà, in capo al Ministero della cultura, di disporre, in armonia con le regole dell’Unione Europea ed in modo da non violare le norme in materia di divieto di aiuti di Stato, l’erogazione di contributi in conto capitale, secondo modalità anche qui da definirsi con successiva decretazione di secondo livello (art. 29).  
 

    III. Le start up innovative culturali e creative. 

La Legge 206/2023 definisce la categoria delle “start up innovative culturali e creative” e stabilisce che tali si intendono, ai fini di quanto previsto dall’art. 25 del Dl 179/2012, convertito con modificazioni dalla legge 221/2012, le start up innovative “in possesso dei requisiti di cui al comma 2 de presente articolo e che siano regolarmente iscritte nella sezione speciale del Registro delle Imprese di cui si è detto. 
 
 

    IV. Conclusioni.

La Legge sul made in Italy appresta una serie di strumenti giuridici (qui ripercorsi in rapida sequenza) atti a tutelare e valorizzare il patrimonio di conoscenze, tradizioni ed imprenditorialità tipico del nostro Paese.  Nel novero di tali strumenti si pone in luce la creazione di uno schema giuridico ad hoc, quello dell’impresa culturale e creativa, grazie alla quale sfruttare, preservare e valorizzare tale inestimabile patrimonio. Allo stato, tuttavia, non è dato esprimersi sulle potenzialità effettive della Legge, difettando ancora una parte significativa delle disposizioni necessarie ad attuare tale programma. Ad avviso di chi scrive, risultati positivi potrebbero generarsi a condizione che i numerosi decreti attuativi cui è demandata la piena efficacia delle disposizioni contenute nella Legge, vengano pubblicati nei tempi previsti, che tali norme secondarie siano chiare e di semplice applicazione e che i controlli sulla effettiva sussistenza e permanenza dei requisiti di appartenenza a tali imprese, ancora in buona parte da definire, siano effettivi e rigorosi.   
 

[1] La legge 206/2023 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, in data 27 dicembre 2023. 

[2] L’art. 11, comma 2 del decreto legislativo 117/2017 (istitutivo del Codice del Terzo Settore), prevede che gli “ETS che esercitano la propria attività esclusivamente o principalmente in forma di impresa commerciale sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione non solo nel RUNTS, ma anche nel Registro delle Imprese.   

[3] I Paesi non membri dell’Unione aderenti allo Spazio Economico Europeo sono Islanda, Norvegia, Lichtenstein e Svizzera.

[4] Per un’ampia dissertazione sulla materia si veda, in giurisprudenza di legittimità, Cassazione Sez. I, 29245/2021 e, quanto alla giurisprudenza di merito Tribunale di Torino, Sezione sesta civile, 18 gennaio 2023 n. 5.   

[5] Decreto Legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 Legge 6 luglio 2002, n. 137.

[6] Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273.

L’art. 11 ter recita :

1. I titolari o licenziatari esclusivi di marchi d'impresa registrati da almeno cinquanta anni o per i quali sia possibile dimostrare l'uso continuativo da almeno cinquanta anni, utilizzati per la commercializzazione di prodotti o servizi realizzati in un'impresa produttiva nazionale di eccellenza storicamente collegata al territorio nazionale, possono ottenere l'iscrizione del marchio nel registro dei marchi storici di interesse nazionale di cui all'articolo 185-bis.

2. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico è istituito il logo «Marchio storico di interesse nazionale» che le imprese iscritte nel registro di cui all'articolo 185-bis, possono utilizzare per le finalità commerciali e promozionali. Con il decreto di cui al primo periodo sono altresì specificati i criteri per l'utilizzo del logo «Marchio storico di interesse nazionale».

[7] La materia delle start up innovative è regolata dal decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179, articoli 25 e seguenti, nella Sezione IX, Misure per la nascita e lo sviluppo delle imprese start up innovative, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2012 n.221, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese. (12G0244) (GU Serie Generale n.294 del 18-12-2012 - Suppl. Ordinario n. 208).