Annullata dal TAR Lazio la sanzione pecuniaria di oltre 100 milioni di euro irrogata ad Apple ed Amazon dall’AGCM per intesa anticoncorrenziale

05 ott 2022

Avv. Cristina Camia

Il TAR Lazio, con le sentenze depositate in data 3 ottobre 2022 (n. 00686, 00687, 00685 e 00761)[1], ha annullato il provvedimento n. 29889 del 16 novembre 2021 con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, accertando un’intesa anticoncorrenziale ai sensi dell’art. 101 TFUE fra Apple ed Amazon, irrogava una sanzione pecuniaria di euro 134.530.405, poi rettificata e ridotta ad euro 114.681.657.
 

        La condotta contestata

La presunta intesa anticoncorrenziale ravvisata dall’AGCM riguardava una clausola del contratto stipulato fra Apple ed Amazon nel 2018, in forza della quale la vendita dei prodotti Apple/Beats tramite il marketplace di Amazon veniva riservata esclusivamente ai c.d. Apple Premium Resellers, ovvero una categoria di rivenditori che soddisfa i più alti standard di qualità e di investimento, con esclusione di tutti gli altri rivenditori presenti sulla piattaforma.
 
Secondo la ricostruzione operata dall’Autorità, tale accordo sarebbe stato idoneo ad impedire l’accesso ai servizi di intermediazione per la vendita su marketplace, in cui Amazon rappresenta il primario operatore (avendo quote di mercato estremamente elevate), ad un insieme di rivenditori di prodotti di elettronica di consumo che non aderiscono ai programmi di distribuzione ufficiale di Apple, ma che vendono lecitamente i prodotti Apple e Beats avendoli acquistati tramite il canale dei grossisti Apple.
In particolare, la limitazione sul marketplace integrava all’avviso dell’AGCM un’intesa in violazione dell’art. 101 TFUE, concretizzando una violazione sia per oggetto (data dalla riduzione del numero dei rivenditori terzi presente su tale rilevante canale di distribuzione ed in assenza di criteri di selezione basati su elementi qualitativi e non discriminatori), sia per effetto (comportando la riduzione del numero dei rivenditori e della quantità dei prodotti venduti).
 
Le parti hanno impugnato dinanzi al TAR Lazio il provvedimento dell’Autorità, lamentando censure di merito, di tardività del procedimento e di violazione dei diritti di difesa.
Nel merito le parti hanno infatti sottolineato che la clausola contrattuale aveva l’obiettivo di contrastare la contraffazione che affliggeva il marketplace online in generale ed in particolare quello riferibile alla piattaforma Amazon. Grazie a tale limitazione risultava infatti grandemente ridotta la presenza di prodotti Apple contraffatti sul marketplace Amazon e si registrava altresì un aumento significativo delle vendite derivante proprio dall’incremento della sicurezza.
 
Le parti hanno poi anche censurato la mancata applicazione sia del Reg. UE 330/2010 in materia di accordi verticali e pratiche concordate sia dell’esenzione prevista dallo stesso art. 101, paragrafo 3, TFUE. Secondo la ricostruzione delle ricorrenti, infatti, l’accordo avrebbe dovuto in ogni caso beneficiare della suddetta esenzione in quanto sarebbero state soddisfatte tutte e quattro le condizioni ivi previste, ovvero il miglioramento delle condizioni di mercato, l’indispensabilità ai fini della maggiore efficienza distributiva, il beneficio per i consumatori e l’assenza di una sostanziale eliminazione della concorrenza.
 
Le parti hanno infine lamentato, da un lato, la violazione dell’art. 14 della L. 689/1981 e del principio di giusta durata del procedimento, oltre che la violazione del diritto di difesa, avendo l’Autorità concesso alle parti solamente il termine minimo di 30 giorni dalla chiusura dell’istruttoria per presentare le proprie difese.
Il TAR Lazio ha concentrato la propria decisione proprio su queste ultime due censure di natura procedimentale, senza entrare nel merito della vicenda.
 

            La motivazione

La Corte analizza anzitutto la prima censura mossa dalle parti ricorrenti in merito alla violazione del termine per l’avvio del procedimento, soffermandosi sulla diretta applicabilità dell’art. 14 della L. 689/1981[2] ai procedimenti dinanzi all’AGCM.
 
I Giudici evidenziano che in giurisprudenza si sono formati due orientamenti: il primo secondo cui i termini perentori previsti dall’art. 14 non sarebbero applicabili ai procedimenti antitrust, avendo tale norma carattere meramente suppletivo in assenza di una disciplina speciale, costituita invece da quella prevista per i procedimenti di competenza dell’Autorità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 dicembre 2021, n. 8492) ed un secondo orientamento secondo cui i termini indicati all’art. 14 sarebbero invece applicabili a tutte le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è applicata la sanzione del pagamento di una somma di denaro.
Il Collegio conferma anzitutto l’orientamento secondo cui tali termini di decadenza non trovano diretta applicazione nei procedimenti antitrust in relazione alla fase istruttoria, anche in considerazione della peculiarità di tali procedimenti che sommano una pluralità di attività oltre all’applicazione di una sanzione amministrativa, quali l’accertamento dell’illecito e l’inibitoria del comportamento.
 
Il TAR osserva tuttavia che con riferimento invece alla fase preistruttoria né la Legge 287/1990 né il Regolamento dell’Autorità in materia di procedure istruttorie individuano un termine massimo di durata. Tale assenza normativa non giustifica però, ad avviso della Corte, che l’attività preistruttoria possa prolungarsi per un lasso di tempo totalmente libero da qualsiasi vincolo ed ingiustificatamente prolungato, ponendosi così in contrasto non solo con i principi positivizzati dalla L. 241/90, ma anche con l’esigenza di efficienza dell’agire della pubblica amministrazione.
Nella fattispecie viene evidenziato che l’Autorità aveva ricevuto la segnalazione dell’accordo oggetto del procedimento in data 22 febbraio 2019, mentre la segnalazione dell’avvio dell’istruttoria è pervenuta alle parti interessate solo in data 21 luglio 2020 e, dunque, a distanza di circa 17 mesi.
Risultava poi pacifico che l’unica attività preistruttoria effettuata dall’AGCM fosse consistita nell’acquisizione tramite internet di alcune statistiche sull’ e-commerce avvenute solo nel giugno 2020 e che, dunque, l’Autorità avrebbe ben potuto acquisire tutte le informazioni necessarie per tratteggiare gli elementi a fondamento dell’illecito in un lasso di tempo molto più limitato rispetto a quello effettivamente decorso.
 
La Corte dunque, nell’accogliere il motivo di censura formulato dalle ricorrenti, ha ritenuto che “tale circostanza si pone in contrasto con il rispetto dei principi di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa […] Deve aggiungersi che il mancato rispetto di un termine ragionevole per l’avvio del procedimento antitrust rappresenta un vulnus particolarmente grave dei surriferiti principi e dell’interesse dell’operatore che opera nel mercato alla rapidità della formulazione della contestazione”.
 
La Corte poi accoglie anche la censura concernente la violazione del diritto di difesa formulata dalle parti, le quali hanno lamentato che alla conclusione dell’istruttoria – avvenuta in data 30 luglio 2021- sia stato loro assegnato un termine inderogabile per presentare le proprie osservazioni pari a 30 giorni, ovvero un termine coincidente con il minimo previsto dal regolamento.
Le parti lamentavano infatti che in situazioni di analoga complessità l’Autorità avesse concesso termini di circa 100 giorni per la presentazione delle difese e che nel caso di specie avesse accordato, solo su istanza di parte, la proroga del termine assegnato di ulteriori 15 giorni, con scadenza alla metà del settembre 2021.
 
Senonché la Corte osserva che l’accesso ai dati relativi all’analisi economica ha avuto luogo mediante la creazione di una data room da parte dell’AGCM, la quale è stata resa disponibile alle parti solo in data 24 agosto 2021, lasciando così alle stesse solo 20 giorni residui per approntare le proprie difese.
La Corte, dunque, ha accolto anche tale motivo di censura ritenendo che lo spazio difensivo concesso alle parti sia stato eccessivamente compresso e che non sia conseguentemente stato assicurato un effettivo contraddittorio.
 

           Conclusioni

Il TAR Lazio ha dunque annullato il provvedimento con cui l’Autorità aveva accertato la violazione dell’art. 101 TFUE da parte di Amazon e Apple ed irrogato alle due società in solido una sanzione pecuniaria di euro 114.681.657, accogliendo i motivi di ricorso presentati dalle parti.
È bene evidenziare che si trattava di una delle sanzioni più elevate irrogate dall’AGCM per violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza.
 
L’Autorità, dunque, si è vista contestare non solo di aver impiegato troppo tempo nell’avvio del procedimento, così violando le norme ed i principi che regolano l’efficienza e il buon andamento della normativa, ma anche di aver ingiustificatamente compresso i diritti di difesa delle due compagnie coinvolte.
La pronuncia della Corte, soffermandosi su ragioni squisitamente procedimentali, non ha tuttavia analizzato il merito dei contratti, né tantomeno si è addentrata nell’indagine circa la sussistenza o meno di un’intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 101 TFUE fra Apple ed Amazon.
Certo è che la pronuncia del TAR Lazio non è ancora definitiva e potrebbe essere ancora oggetto di impugnazione dinanzi al Consiglio di Stato.

 

 

[1] La decisione è contenuta in una sentenza che ha riunito in un'unica decisione i ricorsi proposti da Apple Inc., Apple Distribution International Limited, Apple Italia S.r.l., Amazon Italia Services S.r.l., Amazon.com Inc., Amazon Services Europe, Amazon Europe Core S.à.r.l. e Amazon Eu S.à.r.l.

[2]La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa. Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni”.